Offerta di lavoro. Cercasi fiorista esperto/a in arte funeraria. Impiego part time. Appena vedo questo annuncio esulto. Scrivo velocemente la mail, tratteggiando in modo opportuno e pilotato il mio curriculum. Esalto le parti utili. Tutto qui. Rivelando una attrazione per le corone da fiori e i bouquet di tulipani neri. E nella lettera di accompagnamento spiego il motivo per cui una giornalista sia disposta ad accettare questo tipo di impiego: “Vi domanderete perché sia interessata alla vostra offerta. E’ presto detto: molti pensano che il giornalista sia un lavoro bellissimo in cui si ha molta indipendenza, o si guadagnano molti soldi. Non è così. Ci siamo ormai trasformati in tutt’altro. Inoltre in questo momento io vivo una situazione di lavoro ormai per me insostenibile. Vorrei tornare ad occuparmi di cose più concrete. e partire da un lavoro come fiorista, anche part time, mi darebbe una possibilità di maggiore respiro. E mi darebbe l’opportunità di tornare a una mia antica passione”.
E’ fatta. In questo periodo ho mandato mail di tutti i tipi, ogni giorno almeno cinque. Ad amici, per segnalare il mio desiderio di fuga, a contatti ottenuti da passaparola, per offrire le mie competenze, a perfetti sconosciuti, nel tentativo di incuriosirli.
Nessuna risposta, mai. E’ incredibile vedere come la netiquette, che prevede che una risposta, anche concisa e lapidaria, venga sempre mandata, in questo caso non valga. Evidentemente nel caso delle ricerche di lavoro le regole sono diverse. Chi riceve la missiva la tratta come se fosse spazzatura. Qualcosa da buttare immediatamente nel cestino. Figuriamoci poi se si tratta di un giornalista che cerca di riciclarsi contemporaneamente come fiorista, video maker, creatore di siti internet.
Ma il desiderio di passare a fare qualcosa che faccia parte del mondo della realtà, o meglio ancora lavorare per qualcuno che ha bisogno di quello che fai, è troppo forte. Il lavoro immateriale di chi lavora oggi, in Italia, nei media, purtroppo non serve a nessuno. La competizione non è basata sui saperi o sulle abilità. D’altronde è tutto ciò è perfettamente normale. Nei giornali non c’è nessun bisogno di persone che sanno come scrivere di un argomento. Anzi.
E’ molto meglio se sono totalmente ignoranti. In questo modo infatti non possono accorgersi che la richiesta del caporedattore di mettere in luce alcuni
aspetti invece che altri, aveva un secondo fine. In questo modo non si accorgeranno che la bella favola che devono raccontare in realtà può rivelare dei risvolti preoccupanti. In questo modo accetteranno di trattare qualsiasi argomento, perché uno vale l’altro. Compreso quello che viene scelto per rinforzare il messaggio pubblicitario che compare qualche pagina più in là.
Chi sa qualcosa di specifico, non può spendere in realtà nessuna competenza, nulla che possa essere utilizzato nel curriculum. Laurea, la specializzazione, il master, i convegni, le lingue parlate eccetera, sono elementi pericolosi, che è più furbo non mettere. Sarebbe molto meglio dare indicazioni sulla propria abilità di accettare qualsiasi compito, essere pronti a ogni richiesta, pur di ottenere soldi e carriera.
Forse bisognerebbe farsi fare una lettera di referenze simile a quella prevista per i collaboratori domestici. Il modello precotto che ho trovato in un sito internet dice: “Durante tutto il periodo della sua permanenza presso di noi si è dimostrata onesta, fidata, puntuale, capace di comprendere e svolgere ogni tipo di consegna e in grado di organizzare autonomamente il proprio lavoro”.
Per quanto riguarda l’arte funeraria, potrei far aggiungere nell’ultima richiesta, una frase come questa: ha sempre dimostrato una grande attrazione per gli spazi riservati ai cari estinti. Ha visitato i cimiteri principali di Parigi e Londra, trovando sempre ispirazione per le sue opere. In fondo, almeno questo, è del tutto vero.