Il prezzo delle idee – Diario di una giornata in redazione 18 settembre 2008

Il responsabile di primo livello oggi è elegantissimo.
Rivela che l’editore gli ha chiesto di vederlo. Ma dice anche che l’incontro
non sarà oggi, ma in uno dei prossimi giorni. Dunque d’ora in poi lo vedremo
sempre in fresco lana? Visot che indossa l’abito di rappresentanza, decide
anche di procedere in una serie di richieste. Mi avvicina e mi chiede di poter
parlare in modo riservato. Lo seguo. Dopo qualche minuto di conversazione,
giusto per scaldarsi un po’, arriva l’offerta. Si tratta di una vera e propria
offerta di lavoro: ideare un nuovo prodotto da vendere. Quando chiedo quanto
viene pagato questo sforzo creativo, la risposta è un sorriso. Se il prodotto
va bene, arriverà un premio, che ora, ovviamente, non è quantificabile. Ma la
giustificazione arriva più rapida di una freccia. E fa male tanto quanto.
Questo tipo di lavoro, mi viene fatto notare, potrebbe riconsolidare i rapporti
tra me e l’azienda, che, come sanno tutti, si sono di recente deteriorati.
Inoltre potrebbe ridarmi fiducia, farmi sentire di nuovo importante. Un
lavoratore che conta qualcosa. Alla fine, se il prodotto venderà, arriverà
anche un premetto. Quando chiedo quanto, viene risposto che è impossibile
quantificare i quattrini, mentre di sicuro io potrò trarre grande soddisfazione
personale.
Le idee non si misurano con la bilancia. Le idee non sono
una merce reale. Le idee arricchiscono
umanamente chi le produce.  Tutto vero. Ma è ancor più vero che le idee sono gratis. Ma sono in grado lo stesso di generare profitti.
Il mercato si è spostato dallo sfruttamento delle merci concrete allo sfruttamento delle merci immaterialii.  E il risultato è che una
piccola idea può rendere molto. Chi ci guadagna non è chi
l’ha pensata. La regola è diversa: i profitti si sviluppano ad ogni passaggio di
mano, e quanto più sono lontani dalla sorgente del reddito, tanto più sembrano
redditizi.
Non sono una pigra. Mi fosse stato detto: “visto che non hai molto altro da
fare, ti assegno quest’altro compito”, avrei accettato. Sono qui per lavorare (altrimenti andrei a fare un giro in bicicletta), e
posso anche uscire dagli stretti ruoli assegnati. Ma la richiesta è diversa.
Dovrei fare una cosa diversa dal solito solo per sentirmi felice e realizzata. Il fatto di creare un
prodotto che permetterà alla casa editrice di intascare soldi in più, è un incidente secondario.
Ho rifiutato. E non so dove mi porterà questo rifiuto. Altre
volte ha protato a una riduzione die compiti. Ma adesso siamo già ai minimi.
Altre volte a portato a un maggior controllo, ma adesso non produco nulla,
dunque non posso neppure essere controllata. Come spesso succede, quando hai
toccato il fondo non c’è più nulla che ti possa spingere più in basso. Anzi.
Semmai può esserci un ribalzo che ti permette di uscire dalla fossa.

Questa mattina ho mandato il mio curriculum a un grande
magazzino che cerca creatori di minisiti web per la comunicazione ai clienti. Un
lavoro trasparente. Non si lavora su pubblicità spacciandola per contenuti. Si
lavora su contenuti e li si spaccia per pubblicità.

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