Domenica in panchina- Diario di una giornata in redazione 26 gennaio 2009

Ebbene si lo confesso. A volte mi sento esattamente come un
calciatore in panchina. O peggio, come un tifoso, uno dei tanti, ma di quelli
tignosi. Gente che passa l’intera domenica a parlare di cosa ha fatto il
giocatore X, fino al punto di descrivere non solo le azioni ma anche se si è
messo le dita nel naso. L’arbitro invece si merita un intero trattato
economico, a causa del fatto che è venduto. E l’allenatore… l’allenatore si
sa che è in realtà una meta persona. Tutti i tifosi sono allenatori, e quello
che sta seduto accanto ai giocatori è solo una figura virtuale, una sorta di
buco nero al quale vengono rivolti commenti di ogni tipo. Le critiche sono
corrosive, le lodi sono angeliche. Non esistono mezzi termini. C’è un’unica
certezza: qualsiasi tifoso sa fare il mestiere meglio di lui.

Anche io mi sento in questo modo in certi momenti. leggo la
cronaca da Gaza, so che il prestigioso inviato è lì sul campo. E non riesco a
capire come mai riesca a dimenticarsi che Hamas ha vinto le lezioni e possa
essere descritto quasi fosse un gruppuscolo di attivisti. nell’articolo di
analisi fredda mi accorgo che nessuno cita la situazione di Gaza prima della
crisi attuale. Viene solo accennata. Non vengono elencati i danni economici che
Israele ha imposto alla gente che vive qui. Nessuno rivela che perfino
impomatati funzionari internazionali quando arrivano qui si domandano come mai
ci siano così pochi kamikaze, visto che a loro per primi avrebbe la tentazione
di indossare una cintura di bombe per spiegare che alla violenza definitiva è
istintivo rispondere con la violenza della disperazione.
Mi domando come mai nessuno descriva la cronica assenza
d’acqua, e non la metta in relazione con le abbondanti irrigazioni che vengono
fatte nei kibbuz israeliani, dove si coltivano patate, avocado, fragole e
pomodori ciliegia che arrivano in Italia e che nessuno si domanda da dove
vengano.
Sono capace di fare una intera dissertazione accademica sul
perché i media abbiano scelto di sottolineare l’assurdità della preghiera
islamica, il giorno dopo che il rabbino capo, confondendo lui per primo
religione e stato, aveva strillato contro il fondamentalismo.
Non solo: saprei dove trovare i dati del mercato di armi che
vanno e vengono, da Usa, Inghilterra, Italia, Israele e ritorno, in uno scambio
di favori e di competenze che non ha fine e che viene valutato i miliardi di
euro.
Non parliamo poi quando si esce dalla cronaca per entrare
nella comunicazione scientifica, visto che questa è la mia specializzazione. Ho
letto articoli sui neuroni che facevano venire i nervi, storie di animali
scritte da bestie, sproloqui sull’effetto serra che facevano intuire che il
giornalista in questione fosse totalmente bollito.
Ma io sono solo un tifoso, al massimo un giocatore in
panchina. Vivo l’emozione, saprei cosa fare, sferro un finto calcio. Pubblico
una notiziola sul mio blog. Ma qui mi devo fermare.
Ascolto dibattiti sulla libertà dell’informazione in cui si
dice quanto sia malata, non ci sia diversificazione, non ci sia qualità. Ma
nessuno che spiega come nel mondo dei media mainstream capitale e informazione
siano profondamente connessi. Nessuno che spiega che se un giornalista non può
scrivere quello che vorrebbe, ma si deve limitare a passare veline o scrivere
comunicati commerciali rieditati, o a condizionare la gente con un
"pensiero positivo", il panorama non può essere diverso da quello che
abbiamo sotto gli occhi.
Certo, poi l’informazione si può fare gratis, e mettere on
line. Ho scritto una bellissima inchiesta sulle armi e Israele. Ma poi non l’ho
pubblicata. Non sono riuscita a finirla e non si possono fare le inchieste nel
tempo libero quando già si è costretti ogni giorno ad andare in ufficio, non si
possono incontrare le persone capaci di dare spiragli diversi da quello che si
trova già in rete. non si può stare dietro a un contatto con lo Stockholm
International Peace Research Institute per capire i vai e vieni di elicotteri
ed elmetti negli ultimi cinque anni.
E qui c’è la differenza tra me e il vero tifoso, o il vero
giocatore da panchina. In fondo, non a caso, non solo tifosa non sono mai
stata, ma ritengo che l’esserlo sia l’ennesima dimostrazione di che situazione
drammatica stiamo vivendo.
Il vero tifoso continua a parlare, al bar tiene una lezione
intera della durata di più ore. Il vero tifoso scrive commenti sui siti, il
vero tifoso crea opinione. Il giocatore in panchina non ha frustrazioni perché
è stato allenato a pensare in modo gregario, in funzione della squadra. E il suo è un progetto collettivo.A me invece passa la voglia. Ci sono troppi giocatori in
campo, nei bar, nei media. E io sarei fessa se non avessi capito perché
l’allenatore non mi fa mai giocare.

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