Andare in Cina per fuggire di nuovo da una situazione che stride è stata una scelta che ha portato un interessante risultato. La Cina è un paese difficile, duro, che ha un immaginario che non corrisponde per nulla alla sua realtà. E a differenza di altri posti, il mondo parallelo, che si sente, che si sapeva esistere, non esce, non fluisce nelle emozioni del posto. Andrebbe cercato con calma, con ostinazione e anche con un po’ di pretesa di raggiungere l’obbiettivo. Ma non sempre si ha il tempo, la cultura e la forza di farlo. Io almeno questa volta non ero in questa situazione. Sono partita alla chetichella, tra una domanda da fioristi e una per lacchè nel solito giornale patinato. E avrei avuto bisogno di essere avvolta da sensazioni forti, non di fare il martello pneumatico che trova risposte a mille domande. La prima è per esempio quali sono i parametri economici (intendo dire, non un voce enciclopedica, ma un parametro numerico) che precisamente definiscono un paese in via di sviluppo. Un dubbio che segue la domanda: perché la Cina viene ancora considerata un paese in via di sviluppo? Non mi pare che sia strozzata dal debito con i paesi occidentali: anzi, ha diversi prestiti nei confronti degli Usa. Non ha un basso tasso di crescita, visto che l’altro giorno sul giornale China Daily, in un editorale, si lamentavano perché per colpa della recessione americana erano scesi sotto le due cifre, raggiungendo un valore pari "solo" al 9 per cento (noi siamo all’ 0,5). Non ha una ristretta base industriale e neppure poca accumulazione di capitali.
In compenso, grazie al suo status, può permettersi di ignorare protocolli internazionali come quelli relativi ai problemi ambientali. Non a caso, nel rapporto che il governo cinese ha appena pubblicato sulle misure da prendere contro l’effetto serra, viene espresso l’interessante concetto che sviluppo e ambiente sono strettamente connessi, e dunque, visto che lo sviluppo ci deve essere, le misure per la protezione dell’ambiente vengono di conseguenza e devono promuoverlo, non certo rischiare di rallentarlo. Ma l’aspetto di sviluppo più appariscente, e se vogliamo banale, che la Cina mette in mostra, è lo stesso degli Stati Uniti di America, e non certo quello di microcittadine ideali come Ashton Hayes in Inghilterra, dove hanno varato il progetto Carbon neutral che porterà il villaggio a neutralizzare tutte le emissioni di carbonio.
Il ruolo di martello pneumatico mi aspetta invece di nuovo a lavoro. Oggi, dove sono rientrata facendo finta che le differenze di fuso orario non esistano . E mentre il mio stomaco patisce la nostalgia alimentare del raviolo cinese, faccio i conti con i prossimi giorni.
C’è un clima di sospensione in questo periodo, che mi sono purtroppo persa. La Fnsi ha fatto una mossa che non è comune, ed erano anni che non faceva. Ha denunciato per comportamento antisindacale la casa editrice, che ha licenziato il vicedirettore di una testata. Un mossa che ha lo stesso peso di un macigno gettato nel fosso. Solo che il fosso era così fermo, che le onde che si sollevano si intravvedono appena, e vanno individuate, come l’essenza della Cina, tra segnali invisibili.
Se la casa editrice venisse condannata, il che significa una sentenza penale ai danni dell’amministratore delegato, potrebbe cambiare molto. Sia all’interno della casa editrice (verrà fatto fuori? Oppure no? E che farà il direttore del personale che di fatto ha agito in pratica?), sia a livello nazionale. Negli ultimi anni infatti si è più volte ventilata la possibilità di rendere licenziabili anche i vicedirettori, e non solo i direttori come accade ora. Potrebbero dunque accadere varie cose, e pure in contraddizione tra loro. Se la sentenza passa, questo vicedirettore potrebbe essere riassunto, ma a maggior ragione al tavolo nazionale del contratto gli editori potrebbero pretendere la licenziabilità. Oppure potrebbe anche accadere il contrario.
Sinceramente, al di là della situazione contingente, che va punita per l’arroganza con cui è stata portata avanti, non riesco a esprimermi con una idea precisa. In questi anni i vicedirettori sono stati apertamente aziendalisti, supini e schiavi. Esattamente come i direttori. Tanto che non verrebbe proprio da considerarli giornalisti, ma in effetti capi e basta. Questo accade perché anche i direttori sono cambiati, così come anche i giornali, e in questa logica commerciale in cui siamo è chiaro che sembra naturale vederci tutti come impiegati e dirigenti. Non certo come persone che stanno cercando di portare avanti una pretesa di garantire l’esistenza di una informazione corretta, approfondita e che richiede un sacco di tempo, dunque persone che ci si dedichino per lavoro.
In compenso il contratto non risolve, almeno per ora, la questione del precariato, o quella, ancora più spinosa, dei rapporti con i free lance. Che essendo liberi professionisti non meritano le attenzioni del sindacato.
In realtà la vera denuncia di comportamento anti sindacale, come sappiamo, non andrebbe fatta per il licenziamento illegale. Ma per i maltratttamenti a cui tutti i lavoratori sono soggetti, non ultime le pressioni che sono state fatte anche in merito alle testimonianze che dovranno essere fatte, anche su persone che giornalisti non sono. Il giudice del lavoro dovrebbe uscire dal particolare ed entrare in una generale, che gli mostrerebbe molto più chiaramente le pressioni a cui sono soggette le persone che si arrabattano per un lavoro "normale". Una cosa impossibile insomma.
Nel frattempo il grande capo della major editoriale internazionale alla quale la casa editrice in cui lavoro appartiene, ha appena emesso un suo scritto, con il quale cortesemente fa sapere a tutti i dipendenti all over the world che la recessione economica è una realtà effettiva. E visto che nessuno vorrebbe, non sia mai, che la grande azienda muoia, saranno necessari piccolli sacrifici, e ovviamente contrazioni ed elisioni di realtà non più produttive. Ovviamente la lettera si chiude con un bel "conto su di voi". perfortuna. ora so che quando mi avrà "eclissato" non potrò certo lamentarmi. grazie a me la Grande Azienda potrà sopravvivere, il che significa che l’Economia potrà procedere, altri potranno Consumare, e il Capitalismo potrà continuare a credere di vivere a lungo.