Questa mattina mi arriva sul tavolo una delle testate della
casa editrice. Abbiamo la fortuna, ogni mese, di ricevere tutti i prodotti che
vengono fatte dalle varie redazioni, compresi i loro preziosissimi gadget, che
vanno dal film sulle ultime guerre puniche, alla borsetta dorata, al puzzle di
gomma. Un po’ di tempo fa era stato pubblicato pure un film revisionista
spacciato come testimonianza storica. Quando ce ne siamo accorti (in quattro su
oltre 80 giornalisti) avevamo anche fatto una lettera di protesta. Non abbiamo
mai ricevuto neppure una riga di risposta dal direttore che aveva firmato la
prestigiosa opera. Amen.
La rivista che mi arriva oggi è il fiore all’occhiello della
casa editrice. Fiore culturale, perché in realtà non vende. Ma è la sorella di
una storica testata fatta all’estero, e che, sempre all’estero, è stata una
delle testate fondanti della casa editrice, una multinazionale tra le più
importanti in Europa. Certo, la versione italiana ha poco a che fare con
quell’altra. Ai servizi impegnati sono stati sostituiti argomenti più positivi,
più in grado (è la scusa ufficiale) di incontrare i gusti del grande pubblico,
che com’è noto non pensa, vuole distrazione, sogno e segnalazioni di prodotti
interessanti. Non per incentivare il consumismo, si guardi bene. Ma per informare
e incuriosire la gente, e semmai aiutarla ad alleviare le proprie frustrazioni
esclusivamente con merci di qualità.
Ecco perché nelle prime pagine della rivista compare una di
quelle belle paginette che riescono a scampare per un pelo la denuncia per pubblicità
occulta solo perché in alto compare la scrittina "promozionale". Ma
che per il resto, ad alcuni, appaiono sorprendentemente molto simili a tutte le altre. E’ un
abbaglio, sia chiaro, evidentemente una percezione distorta che solo un animo
malevolo può provare. La risposta infatti è sempre la solita: il lettore si
accorge subito, sa la differenza, capisce la necessità che il giornale contenga
anche pubblicità, altrimenti non ha i soldi per uscire. Come si fa a non essere
contenti di questo? Non abbiamo davanti un popolo di pecoroni! Ed è davvero
incredibile, visto che per il resto delle pagine vagolo invece altri
criteri. Il lettore, è il mantra
ufficiale, ha il diritto di essere distratto e un po’ ignorante. Noi dobbiamo
spiegare tutto in termini semplici e chiari, dobbiamo permettergli di
svolazzare qua e là tra le frasi, senza perdere il senso generale. Quindi
dobbiamo essere superficiali, allegri, e non dobbiamo mai intaccare il suo
buonumore.
In un articolo non ci si può certo permettere di analizzare
in modo troppo approfondito un problema, o di presentarne i lati negativi.
Giammai. Nel caso dovesse inevitabilmente capitare, è necessario indicare anche
tutte le possibili soluzioni, che ci fanno sentire di nuovo sicuri di vivere in
una società del benessere, dove tutto fila liscio come l’olio.
E se il promozionale non basta, ed è il caso del numero che
stavo sfogliando, perché non rinforzare l’informazione con un bel reportage che
tratta dello stesso tema? Così i lettori possono saperne di più. E non potranno
che ringraziare la rivista, continuando a comperarla in futuro.
Mi viene un dubbio cosmico. Il lettore dunque legge il
promozionale, sgama il promozionale, poi arriva al reportage e finalmente si
rilassa? Può darsi. Evidentemente sono un po’ esaurita: è chiaro che non riesco
più a capire la logica della vita quotidiana. Mando una lettera al presidente
dell’ordine dei giornalisti per chiedere se è questo è giornalismo. Vediamo se
risponde.