diario di una giornata in redazione – 26 agosto 2008

Ieri, prima giornata in redazione dopo un mese di ferie. Forzate. Un mese preso non per andare in giro a trovare amici o a scoprire vecchie e nuove terre. Un mese per staccare, per ribellarsi a una situazione di lavoro "particolare". Il tempo non ha guarito un bel niente. Il sole e il ritmo estivo neppure. Si torna sapendo che tutto sarà come prima, oppure peggio.

Mi siedo al mio desk. Guardo la posta. In un mese arriva un sacco di spam e di notizie assolutamente interessanti come l’uscita della prossima reflex digitale o l’ultima foto Reuters che mostra l’atleta olimpico con le dita nel naso,  mescolate a tutte le notizie di agenzia, che a guardarle tutte insiemedanno l’impressione che nulla di nuovo sia davvero successo, neppure quando un Paese viene distrutto da una guerra decisa a tavolino.

Ma con questo stratagemma è possibile passare ben un’ora. Anche due se ci si sofferma a leggere qua e là qualcosa. Anche tre, se non si sopprime del tutto l’istinto vitale e si vanno a cercare le origini di alcune informazioni, si controllano diverse fonti, si impara (oddio, ma questa parola non si può proprio pronunciare) qualcosa, non foss’altro si esercita un po’ di inglese o di spagnolo.  Finita l’operazione e-mail arriva il grande momento della pausa caffè. Tocca andare con la collega a bere una orrenda sbobba alla macchinetta, fare due sorrisi, chiedere passando a un altro collega come sono andate le ferie. Mostrare interesse per la sua meta prevedibile e l’organizzazione del suo tempo di relax, assolutamente identica a quellache tiene in ufficio, se si eccettua il fatto che in vacanza si può fare la pennichella pomeridiana.

Arrivano le 11. Ok. E ora? Parte una breve discussione su quanto ha venduto la rivista nell’ultimo mese. E si accenna ai tempi previsti per la lavorazione del prossimo numero. Solo un accenno, mi raccomando.  Non si parla di quello che ci sarà da fare, di cosa potrebbe contenere la rivista, di quali potrebbero essere le nostre prossime tappe. Nulla. Mi metto a leggere il giornale. In fondo i giornalisti hanno anche questo compito. Arrivano le 12,30. E’ quasi arrivata l’ora di pranzo. Si può uscire in cortile a respirare una boccata d’aria, per sottrarsi all’aria condizionata messa a palla, inutilmente, in una giornata in cui fuori ci sono 22 gradi.

ore 13 arriva l’ora di pranzo. Ho un momento di ribellione. Vado al mercato e compero due cassette di lamponi in offerta speciale. Torno e raggiungo gli altri al bar. Insalata, dibattito sulle discipline inutili che compaiono e scompaiono alle olimpiadi, caffè e tutti in ufficio. I lamponi diventano oggetto di discussione perfino tra i signori che ogni giorno, inspiegabilmente, spostano tavoli, scatoloni, bacheche, quadrelle di pavimento per impiegati che lavorano sempre nelle stesse redazioni, negli stessi ruoli, con la stessa noia.

Nel pomeriggio decido di mettermi in posizione di apertura e totale disponibilità a ricevere compiti e stimoli esterni. Non accade nulla. Non devo scrivere neppure una didascalia. Commetto un errore. Mi metto a leggere un articolo sull’aumento dei prezzi dei generi alimentari in relazione ai biocarburanti. Partono le idee, vengono i progetti. E parte il Senso di Colpa. Insomma cosa si vuole di più: uno stipendio assicurato, un computer, una connessione, un telefono a disposizione totale. Potrei fare di tutto: scivere un romanzo, un saggio, articoli, blog. E invece provo disagio. Mi perdo in rete  a cercare altre infomazioni, col risultato che le idee si affollano ancora di più. C’è un mondo pieno di vita là fuori. E la morte qui dentro sembra ancora più assurda.
Guardo gli altri. Uno sta guardando dei video di sport. L’altra passa le ore a telefonare alle amiche raccontando intrighi interessantissimi, degni di un romanzo Harmony, con leggero tocco porno che aumenta il fascino. Insomma l’attività ferve.
Arrivano le 17. 30. Inforco la bicicletta e filo veloce. Anzi ancora più veloce. Nelle strade ancora sgombre della città posso sentire l’aria, annusare il profumo, vedere i colori. Domani, forse, sarà tutto diverso.

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